E’ mattina presto e ancora non ho deciso se proseguire diretto per Mashad attraverso il deserto o andare verso Teheran su una strada che lo costeggia.
Gli altri proseguono ma non fino a Mashad perché devono tornare in Italia, le loro vacanze stanno per finire e affrettano il rientro.
Mi butto: proseguo.
E’ stata davvero una giornata difficile. Ormai le oasi sono rare e il caldo è sempre più insopportabile. Ci sono almeno 130 km di rettilineo totalmente piatto, senza anima viva , anche i camion si fanno sempre più rari. Meno male che la vespa sembra non risentire della situazione e va benissimo: che bestia!!
Il cielo è addirittura bianco, come quando sta per nevicare. E non si riesce a vedere troppo lontano perché sembra ci sia una sorta di nebbiolina. Ogni 10-20 km mi devo fermare a bere, acqua calda naturalmente.
Dopo una corsa di 450 km arrivo a Tabas. Esausto. La L.P dice che era la perla del deserto, meta obbligata di tutte le carovane (ah! Ho visto anche i cammelli!!), ma fu distrutta da un terremoto violento nel 1978 facendo 26000 vittime. Ora è una città nuova e bruttissima. Meno male hanno avuto il buon gusto di piantare un po’ di palme, altrimenti sarebbe invivibile e inguardabile. Mi sistemo presso l’unico albergo esistente, incazzandomi con il tenutario perché mi chiede subito i soldi e quando mi mostra la stanza mi verrebbe da vomitare. Però , come si dice o bere o affogare. Bevo naturalmente.
A Tabas non c’è niente da vedere o da fare, per cui esco di notte, dopo il canto del muezzin che annuncia che si può mangiare e bere. Non racconto la cena perché è meglio dimenticare. Anche la gente qui mi sembra più scorbutica che nel resto del paese. Ma forse sono troppo stanco, meglio dormire più possibile, perché domani mi aspettano gli ultimi 550 km di deserto fino a Mashad.
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